Può un lavoratore impugnare il licenziamento, avvenuto per assenza ingiustificata dal luogo di lavoro, oltre il termine di decadenza stabilito dalla legge per sopraggiunta e temporanea incapacità naturale? Il lavoratore sostiene che, al momento della ricezione della lettera nella quale si annunciava la fine del suo rapporto lavorativo con l’azienda, si ritrovava impossibilitato a comprenderne il contenuto perché affetto da grave depressione. Specificava altresì di essere venuto a conoscenza del licenziamento solo dopo essere guarito grazie a terapie mediche.

La domanda che ci poniamo è dunque questa: come opera lo stato di incapacità naturale, opportunamente documentato dal lavoratore, nel caso di licenziamento ricevuto ma non conosciuto per cause, in questo caso mediche, non imputabili alla volontà del lavoratore stesso?
In altre parole, può lo stato di incapacità naturale accertato nel procedimento, rilevare per comprendere le circostanze del licenziamento e contestare la scadenza del termine di prescrizione previsto dalla legge, impugnando il licenziamento?
Il caso: lettera di licenziamento per assenza ingiustificata dal luogo di lavoro
Analizziamo questa fattispecie, quella del licenziamento per giustificato motivo, in cui la lettera si consegna, si riceve ma non si conosce per sopraggiunta incapacità naturale, e i cui atti si rimettono alla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, alle Sezioni Unite.
Il caso è dunque questo. Un lavoratore viene licenziato per essersi assentato dal luogo di lavoro, senza giustificato motivo, per 15 giorni. A seguito di una raccomandata, nella quale si chiedeva di giustificare le assenze entro un termine perentorio di 5 giorni, il lavoratore, che nessuna deduzione ha presentato, riceve una lettera di licenziamento.
Mesi dopo la ricezione della suddetta lettera, il lavoratore impugna il licenziamento ma oltre il termine di prescrizione fissato a 60 giorni, con una motivazione particolare: versava in uno stato di incapacità naturale così grave da non consentirgli di prendere visione e conoscenza dell’atto stesso.
Nei primi due gradi di giudizio, i giudici di merito contestano e respingono l’impugnazione del licenziamento perché il termine di decadenza non può essere interrotto né sospeso. Si arriva in Cassazione.
Analisi del quadro giuridico
Analizziamo il quadro giuridico in questione. Dicesi del licenziamento, di un atto recettizio che inizia cioè a produrre effetti quando viene a conoscenza del destinatario. A proposito del ricevente, quest’ultimo si considera a conoscenza dell’atto nell’esatto momento in cui giunge al suo indirizzo, salvo l’ipotesi in cui il destinatario dimostri di essersi ritrovato nell’impossibilità di averne notizia, secondo quanto si evince dall’enunciato dell’articolo 1335 c.c.
La giurisprudenza ricorda il termine di 60 giorni come ultimo per impugnare il licenziamento e che non è suscettibile né di interruzione né di sospensione (ex art. 2964 c.c.). Afferma altresì che non rilevano affatto le condizioni soggettive del destinatario, salvo quanto previsto dall’art. 428 c.c.
La suddetta norma considera l’annullabilità dell’atto unilaterale solo se l’atto lo compie il soggetto che si trovi in uno stato di incapacità naturale e che gli rechi pregiudizio grave sottolineando però che il licenziamento non è un atto compiuto dall’incapace onde il problema a cui trovare soluzione.
Secondo i dettami della ordinanza interlocutoria n. 27483 del 23 settembre 2023, la presunzione di conoscenza si ispira al principio di affidamento ma ciò non comporta l’esclusione della necessità di un bilanciamento con riferimento agli atti recettizi quali il licenziamento, soprattutto nella fattispecie in cui il maturare della prescrizione precluda l’impugnazione calpestando il diritto di difesa e di tutela del posto di lavoro come previsto dagli articoli 24 e 35 della Costituzione.
Presunzione di conoscenza e termine di decadenza
Altro punto fondamentale da analizzare è quello relativo al termine per l’impugnazione del licenziamento e i dettami codicistici sugli atti cosiddetti recettizi. Partiamo dall’enunciato dell’articolo 1334 c.c. che così recita:
” Gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui provengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati”.
Così si definiscono gli atti recettizi come il licenziamento, che esplicano i loro effetti quando giungono a conoscenza del destinatario. Si occupa della presunzione di conoscenza l’art. 1335 c.c. con riferimento agli atti recettizi affermando che un atto recettizio si intende conosciuto allorquando giunga all’indirizzo del destinatario, salvo che quest’ultimo non dimostri di essere stato in una condizione di impossibilità di conoscenza dello stesso.
Ancora, l’articolo 6 della legge 604/1966 stabilisce che il licenziamento si può impugnare, pena la decadenza, entro 60 giorni dalla ricezione della sua comunicazione avvenuta in forma scritta o con qualsiasi atto scritto che renda nota in maniera idonea, la volontà del lavoratore, seppur attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto a impugnare il licenziamento stesso.
Il caso arriva in Cassazione
La questione per la Corte non si limita semplicemente alle tempistiche procedurali e ai termini di prescrizione bensì alle condizioni di salute del lavoratore che si appella allo stato di incapacità naturale per giustificare le sue assenze e la mancata risposta alla prima raccomandata nella quale si chiedeva una giustificazione entro 5 giorni.
La giurisprudenza di legittimità ha dichiarato che la validità del licenziamento, in quanto atto recettizio, prescinde dallo stato di incapacità naturale del destinatario menzionando l’articolo 428 c.c. che dispone solo l’annullabilità degli atti unilaterali – e tra questi non rientra il licenziamento – che siano posti in essere dall’incapace naturale. Tuttavia c’è da fare una specifica.
La Cassazione, in una ordinanza (Cass.12658/2018) ha creato un precedente affermando che:
“L’incapacità del destinatario di un atto è, per principio generale, presa in considerazione dalla legge quando, dalla notifica di quell’atto, inizi a decorrere un termine dal cui inutile spirare il destinatario riceverebbe un pregiudizio. Ma dalla notifica d’un atto interruttivo della prescrizione non decorre alcun termine per il destinatario, sicché non vi è l’esigenza di tutelarlo contro il rischio di decadenze incolpevoli”.
Considerazioni giuridiche e conclusioni
Alla luce di queste considerazioni, la Corte ha ritenuto opportuno rimettere gli atti alle SS.UU. di questa questione:
“Se uno stato di incapacità naturale, processualmente dimostrato e non contestato, sussiste nel momento in cui l’atto sia giunto all’indirizzo, rilevi ai fini del superamento, da parte del destinatario, della presunzione di conoscenza, in quanto incidente sulla possibilità di averne notizia senza sua colpa”.
Se ne deduce che:
[1] L’impugnazione, se non è seguita entro il successivo termine di 180 giorni dal deposito del ricorso nella cancelleria del giudice del tribunale che agisce come giudice del lavoro o dalla comunicazione di un tentativo di arbitrato o conciliazione alla controparte (si intende ferma la possibilità di produrre altri nuovi ed eventuali documenti nati dopo il deposito del ricorso) è da ritenersi inefficace. Se non si raggiunga un accordo o l’arbitrato e riconciliazione richiesti siano respinti, il ricorso al giudice è ammesso entro il termine di 60 giorni, pena la sua decadenza.
[2] Per la giurisprudenza grava sul lavoratore l’obbligo di comunicare all’azienda o al datore di lavoro, eventuali cambi di domicilio e/o residenza in quanto vale l’intimazione del licenziamento inviata all’indirizzo comunicato dal lavoratore all’azienda o al datore di lavoro all’atto dell’assunzione.
Lo status di presunzione di conoscenza non opera nel momento in cui il datore di lavoro risulti a conoscenza dell’allontanamento del lavoratore dal domicilio e dunque a conoscenza del suo impedimento.
Incapacità naturale del destinatario e decadenza dell’impugnazione del licenziamento
Fatto salvo quanto dichiarato poco sopra, e considerando che la giurisprudenza di legittimità ha ribadito in più occasioni che, nel caso dell’impugnazione del licenziamento il termine di 60 giorni non è suscettibile di sospensione o interruzione, è necessario specificare che, in questo caso non fanno fede le condizioni soggettive del destinatario salvo nelle fattispecie previste dall’art. 428c.c. che distingue 2 tipologie di atti:
- i contratti, che possono essere annullati solo in caso di malafede dell’altro contraente qualora ne derivi un pregiudizio in capo ad una persona incapace di intendere o di volere;
- gli atti unilaterali, che si possono annullare – su richiesta della persona stessa o degli aventi diritto – se deriva un pregiudizio grave per l’autore stesso.
Cosa recita l’articolo 428 c.c.
“Gli atti compiuti da persona che, sebbene non interdetta, si provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace d’intendere o di volere al momento in cui gli atti sono stati compiuti, possono essere annullati su istanza della persona medesima o dei suoi eredi o aventi causa, se ne risulta un grave pregiudizio all’autore.
L’annullamento dei contratti non può essere pronunziato se non quando, per il pregiudizio che sia derivato o possa derivare alla persona incapace d’intendere o di volere o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta la malafede dell’altro contraente.
L’azione si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui l’atto o il contratto è stato compiuto. Resta salva ogni diversa disposizione di legge”.