Procedimento disciplinare nel pubblico impiego, come ci si regola dopo la soppressione della pregiudiziale penale, a seguito della riforma Brunetta?
Pubblico impiego e responsabilità disciplinare, aspetti generali
Prima di addentrarci nel cuore del tema odierno, è necessario procedere con alcune specifiche indubbiamente importanti.
È bene ricordare, come la legge insegna attraverso i dispositivi di diversi articoli, che in ogni rapporto lavorativo, il prestatore d’opera, il lavoratore o il dipendente, hanno il dovere di eseguire la prestazione lavorativa secondo i criteri di diligenza senza dimenticare però gli obblighi che ne derivano relativi a condotta e fedeltà.
Tuttavia, ricordiamo che varie e numerose sono le responsabilità che possono sorgere in capo al prestatore, specificando oltretutto che la sanzione disciplinare non esclude altre responsabilità del pubblico dipendente. Nel settore del pubblico impiego, per esempio, il dipendente dovrà rispondere al datore di lavoro nel caso di inadempimento o inesatto adempimento dell’obbligazione professionale che lo riguarda.
Procedimento disciplinare e codice civile
Nel codice civile sono diversi gli articoli che chiariscono il ruolo dei dipendenti, del dovere di diligenza, dell’obbligo di fedeltà e infine della comminazione di sanzione disciplinare in caso di violazione di specifici obblighi.
Partiamo dall’articolo 2086 del codice civile che recita
“L’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori. L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.
Invece, l’articolo 2104 chiarisce che il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale. Deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende.
Articoli 2105 e 2106 codice civile
Si continua con l’articolo successivo, il 2105 che sancisce l’obbligo di fedeltà che sorge in capo al prestatore di lavoro il quale non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio.
Non possiamo dimenticarci poi del dispositivo dell’articolo 2106 del codice civile che attiene alle sanzioni disciplinari e che specifica che “L’inosservanza delle disposizioni contenute nei due articoli precedenti può dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell’infrazione e in conformità delle norme corporative”.
In merito al tema delle sanzioni disciplinari ci sono delle specifiche fondamentali da fare. La prima, è necessario che ci sia un rapporto di proporzionalità tra sanzione e infrazione. La seconda, con la soppressione dell’ordinamento corporativo si è verificata anche la soppressione delle sopramenzionate norme corporative.
Resta chiara la ratio legis: infliggere sanzioni disciplinari e determinare la proporzionalità della gravità dell’illecito, fa parte dei poteri di organizzazione dell’impresa purché, e a stabilirlo è l’articolo 7 della legge numero 300 del 1970, la sanzione disciplinare intercorra se il lavoratore sia messo a conoscenza degli addebiti che a lui si contestano in modo che possa difendersi adeguatamente dalle accuse.
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Licenziamento, interventi della corte di Cassazione
Il procedimento disciplinare che coinvolge un prestatore di lavoro, si può concludere con il licenziamento. A questo proposito, ricordiamo alcuni interventi sul caso della Corte di Cassazione.
Con la sentenza numero 11540 del 2020, la suprema corte ha chiarito che il giudizio sulla proporzionalità tra il fatto contestato e la sanzione nel caso di licenziamento individuale per giusta causa o giustificato motivo soggettivo spetta al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, a condizione che sia supportato da una motivazione adeguata.
Invece, in altre due sentenze del 2016, La Cassazione ha chiarito che nel licenziamento disciplinare, se il procedimento disciplinare si sospende a causa della pendenza di un processo penale sugli stessi fatti, il datore di lavoro può riattivare il procedimento utilizzando gli accertamenti penali per precisare meglio gli addebiti, sempre nell’ambito dei fatti originari, garantendo al lavoratore il diritto di replicare alle accuse così specificate.
Inoltre, in un’altra sentenza, è stato stabilito che il datore di lavoro non è obbligato a indicare i motivi specifici del licenziamento se questi sono già stati comunicati al dipendente durante la contestazione disciplinare che ha portato alla risoluzione del rapporto di lavoro.
Tuttavia, se il lavoratore ritiene che tali motivi siano insufficienti, potrebbe essere previsto un dovere di ulteriore specificazione solo nel procedimento disciplinare successivo alla contestazione.
Procedimento disciplinare, altre forma di responsabilità del pubblico dipendente
Nell’ambito del pubblico impiego, si configurano altre forme di responsabilità che riguardano il dipendente pubblico e tra queste la responsabilità dirigenziale e quella contabile rafforzata dal dispositivo dell’articolo 28 della costituzione che così recita:
“I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici”.
Dall’analisi dei dispositivi qui riportati, si evince che il pubblico dipendente, quale prestatore di opera professionale, deve operare per il bene della collettività senza mirare a un mero interesse imprenditoriale. Esiste dunque un rapporto di correlazione tra perseguimento del bene comune e svolgimento dell’attività da parte dei pubblici dipendenti.
Ipotesi 1: procedimento disciplinare con sanzione e procedimento penale con sentenza di assoluzione
L’articolo 55-ter del Testo Unico sul pubblico impiego, il cui contenuto riproporremo a breve, stabilisce che se un procedimento penale si conclude con un’assoluzione irrevocabile mentre il procedimento disciplinare porta a una sanzione, se il procedimento disciplinare viene ripreso su richiesta di una parte, il tutto si considera come un unico procedimento articolato in due fasi. La decisione finale sulla sanzione ha effetto retroattivo e qualsiasi decisione giurisdizionale sull’illegittimità della sanzione opera anche retroattivamente.
Quanto appena indicato, era in realtà già presente nel disposto dell’articolo 102 bis disp. att. del c.p.p. che così recita:
“chiunque sia stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere ai sensi dell’articolo 284 del codice e sia stato per ciò stesso licenziato dal posto di lavoro che occupava prima dell’applicazione della misura, ha diritto di essere reintegrato nel posto di lavoro medesimo qualora venga pronunciata in suo favore la sentenza di assoluzione, di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero venga disposto provvedimento di archiviazione”.
La giurisprudenza ha chiarito che l’articolo 102-bis della disposizione attuativa richiede che il licenziamento sia strettamente legato alla detenzione, ovvero che il recesso dal lavoro sia motivato esclusivamente dalla situazione di detenzione del lavoratore. Questo significa che la normativa non si può invocare per richiedere il reintegro nel posto di lavoro se il licenziamento è giustificato da motivi diversi dalla semplice assenza dovuta alla custodia cautelare.
Quindi, se un lavoratore viene licenziato dall’autorità disciplinare per comportamenti illeciti che non sono legati alle misure cautelari penali e successivamente viene assolto penalmente per questi stessi comportamenti, il suo reintegro dipenderà dalle disposizioni dell’art. 55-ter del Testo Unico sul pubblico impiego e non dall’art. 102-bis del codice di procedura penale.
Nell’ipotesi di assoluzione del prestatore di opera professionale derivante da sentenza seguita a un processo penale di revisione, si ricordi che:
“se il procedimento disciplinare non sospeso si sia concluso con l’irrogazione della sanzione del licenziamento…e successivamente, il procedimento penale sia definito con una sentenza penale irrevocabile di assoluzione, che riconosce che il fatto addebitato non sussiste o non costituisce illecito penale o che l’imputato non lo ha commesso, ove il medesimo procedimento sia riaperto e si concluda con un atto di archiviazione, ai sensi dell’articolo 55-ter, comma 2, del D.lgs. 165/2001, il personale di cui all’articolo 1 del presente CCNL ha diritto, dalla data della sentenza di assoluzione, alla riammissione in servizio presso l’ente, anche in soprannumero, nella medesima sede o in altra sede, nonché ove previsto, all’affidamento di un incarico di valore equivalente a quello posseduto all’atto del licenziamento. Analoga disciplina trova applicazione nel caso che l’assoluzione consegua a sentenza pronunciata a seguito di processo di revisione”. (Articolo 39, comma 3 CCNL 2016-2028 per le Funzioni Centrali).
Articolo 55-ter – rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale – parte I –
1. Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale.
Per le infrazioni per le quali è applicabile una sanzione superiore alla sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino a dieci giorni, l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari, nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all’esito dell’istruttoria non dispone di elementi sufficienti a motivare l’irrogazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare fino al termine di quello penale.
Fatto salvo quanto previsto al comma 3, il procedimento disciplinare sospeso può essere riattivato qualora l’amministrazione giunga in possesso di elementi nuovi, sufficienti per concludere il procedimento, ivi incluso un provvedimento giurisdizionale non definitivo. Resta in ogni caso salva la possibilità di adottare la sospensione o altri provvedimenti cautelari nei confronti del dipendente.
Articolo 55-ter -rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale – parte II –
2. Se il procedimento disciplinare, non sospeso, si conclude con l’irrogazione di una sanzione e, successivamente, il procedimento penale viene definito con una sentenza irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato al dipendente non sussiste o non costituisce illecito penale o che il dipendente medesimo non lo ha commesso, l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari, ad istanza di parte da proporsi entro il termine di decadenza di sei mesi dall’irrevocabilità della pronuncia penale, riapre il procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l’atto conclusivo in relazione all’esito del giudizio penale.
Articolo 55-ter -rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale – parte III –
3. Se il procedimento disciplinare si conclude con l’archiviazione ed il processo penale con una sentenza irrevocabile di condanna, l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari riapre il procedimento disciplinare per adeguare le determinazioni conclusive all’esito del giudizio penale.
Il procedimento disciplinare è riaperto, altresì, se dalla sentenza irrevocabile di condanna risulta che il fatto addebitabile al dipendente in sede disciplinare comporta la sanzione del licenziamento, mentre ne è stata applicata una diversa.
Articolo 55-ter – rapporti fra procedimento disciplinare e procedimento penale – parte IV –
4. Nei casi di cui ai commi 1, 2 e 3, il procedimento disciplinare è, rispettivamente, ripreso o riaperto, mediante rinnovo della contestazione dell’addebito, entro sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza, da parte della cancelleria del giudice, all’amministrazione di appartenenza del dipendente, ovvero dal ricevimento dell’istanza di riapertura.
Il procedimento si svolge secondo quanto previsto nell’articolo 55-bis con integrale nuova decorrenza dei termini ivi previsti per la conclusione dello stesso.
Ai fini delle determinazioni conclusive, l’ufficio procedente, nel procedimento disciplinare ripreso o riaperto, applica le disposizioni dell’articolo 653, commi 1 e 1-bis, del codice di procedura penale.
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Ipotesi 2: prescrizione penale e sanzioni disciplinari non revisionabili se comminate con procedimento non sospeso
Quando c’è una sentenza di prescrizione penale, che non equivale a un’assoluzione, il procedimento disciplinare può essere riattivato se sospeso, ma non è possibile modificare le sanzioni disciplinari già inflitte. È consigliabile che l’imputato rinunci esplicitamente alla prescrizione se desidera chiarire definitivamente la propria colpevolezza e beneficiare di una piena assoluzione anche nel procedimento disciplinare.
La Corte di Cassazione ha confermato che anche in caso di prescrizione penale, la Pubblica Amministrazione può avviare un procedimento disciplinare e infliggere la sanzione appropriata, basandosi sulla gravità dei fatti che hanno portato al procedimento penale.
Inoltre, quando il processo penale si conclude senza una condanna definitiva a causa della prescrizione o altre cause di estinzione del reato, non si tratta di un’assoluzione e la P.A. può utilizzare le prove raccolte nel procedimento penale senza doverle ripetere.
È interessante notare il collegamento tra il decreto legislativo n. 150 del 2009 e l’articolo 3, comma 57 e 57-bis, della legge n. 350 del 23 dicembre 2003 (nota come legge “Carnevale”): quest’ultimo ha introdotto meccanismi significativi per il ripristino o il prolungamento del rapporto di lavoro oltre i limiti di età previsti dalla legge in caso di assoluzione penale.
Tuttavia, queste disposizioni sono state limitate nel tempo a causa di un decreto legge successivo che ha stabilito un termine entro il quale le richieste di riammissione in servizio dovevano essere presentate.
Secondo l’articolo 39 del CCNL Funzioni centrali 2016-2018 e contratti analoghi, se un lavoratore viene assolto dopo un procedimento disciplinare derivante da un giudicato penale assolutorio divergente, ha diritto a essere reintegrato in soprannumero presso l’ente, a ricevere un incarico equivalente a quello precedente, e a ottenere tutti gli assegni arretrati relativi al periodo di licenziamento e alla sospensione cautelare precedente.
Ipotesi 3: procedimento penale con sentenza di condanna non revocabile e procedimento disciplinare con archiviazione
In questa ipotesi, considerando il comma 3 dell’articolo 55-ter del TUPI, sarà compito dell’amministrazione riaprire il procedimento disciplinare allineando le proprie decisioni all’esito del giudizio penale con una rivalutazione interna delle circostanze.
Se una sentenza di condanna irrevocabile stabilisce che un fatto addebitato al lavoratore comporta la sanzione del licenziamento, anche se inizialmente si applicava una sanzione conservativa, il procedimento disciplinare verrà riaperto automaticamente.
Si suggerisce alle amministrazioni di indicare chiaramente, nelle decisioni sanzionatorie adottate durante le indagini o il procedimento penale, la possibilità che la sanzione possa essere modificata in modo più grave in base all’articolo 55-ter, comma 3, in relazione a eventuali esiti penali di condanna, per garantire correttezza e trasparenza.
Procedimento disciplinare, novità post riforma Madia
La riforma “Madia” del 2017 ha mantenuto la regola secondo cui il procedimento disciplinare si deve avviare e concludere anche durante un procedimento penale relativo agli stessi fatti. Secondo l’articolo 55-ter, comma 4 del Testo Unico sul pubblico impiego, la riattivazione o riapertura del procedimento disciplinare deve avvenire entro 60 giorni dalla ricezione dell’istanza del lavoratore (nei casi specificati dal comma 2) entro sei mesi dall’irrevocabilità della sentenza penale o dalla ricezione della sentenza integrale in giudicato trasmessa all’amministrazione.
La riattivazione può avvenire anche attraverso comunicazioni informali che mirano a risolvere situazioni dannose per il dipendente, secondo i principi di buona amministrazione.
La Corte di Cassazione ha chiarito che la conoscenza della sentenza nel procedimento penale non incide sulla decorrenza dei termini nel procedimento disciplinare. Il datore di lavoro può riprendere il procedimento disciplinare anche prima della conclusione del procedimento penale se ritiene di avere elementi sufficienti, nonostante la sospensione precedente.
Il termine di 60 giorni per la ripresa del procedimento disciplinare si applica solo dopo l’irrevocabilità della sentenza penale, mentre non sono rilevanti i tempi di ripresa del procedimento sospeso se l’amministrazione ha gli elementi per concluderlo prima della sentenza definitiva.
Conclusioni
Nel contesto della riapertura del procedimento disciplinare non sospeso a causa di sviluppi penali divergenti, la normativa richiede l’attesa del giudicato penale. Tuttavia, in situazioni eccezionali di sospensione facoltativa, è possibile riattivare il procedimento interno anche prima del giudicato penale, se ci sono motivi legittimi come la complessità dell’accertamento o la mancanza di prove.
La novità introdotta nel 2017 permette la riattivazione del procedimento disciplinare sospeso quando ci sono nuovi elementi, inclusi provvedimenti giurisdizionali non definitivi. Questa decisione è discrezionale e non soggetta a revisione giudiziaria.
Se l’amministrazione decide di riattivare il procedimento a seguito di un provvedimento giurisdizionale non definitivo, il termine di 60 giorni per la riattivazione inizia dalla conoscenza della sentenza non definitiva, sebbene l’interpretazione completa dei fatti da una sentenza non irrevocabile si possa discutere.
Le incertezze riguardo al rapporto tra i tempi previsti dall’art. 55-ter del d.lgs. n. 165 del 2001 e quelli dell’art. 5, co. 4, della legge n. 97 del 2001 persistono. La legge n. 97 del 2001 impone una sospensione obbligatoria del procedimento disciplinare in attesa del giudicato penale per specifici reati contro la pubblica amministrazione, con un termine di 90 giorni per la ripresa del procedimento. Tuttavia, l’art. 55-ter prevede tempi diversi.
Ci sono due interpretazioni predominanti: una che considera le norme della legge del 2001 “speciali” rispetto al Testo Unico sul pubblico impiego e un’altra che sostiene un’abrogazione implicita di tali norme. Quest’ultima interpretazione potrebbe portare a sollevare dubbi di incostituzionalità.
Nonostante le argomentazioni a favore della seconda interpretazione, la maggioranza tende ancora a preferire la prima, considerando la specificità dei reati contemplati dalla legge n. 97 del 2001 e il chiaro intento legislativo di mantenerne le disposizioni nonostante gli interventi successivi.