La videosorveglianza nei condomini, cosa accade senza delibera?

Gennaio 14, 2024
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Videosorveglianza nei Condomini, la pronuncia del Garante Privacy
Close up shot of computer or digital tablet screen showing footage of surveillance cameras in coworking office with modern scanning system. CCTV cameras. High tech security. Concept of social safety

Installare degli impianti di videosorveglianza nei condomini è un’operazione lecita, a condizione che sia stato manifestato il consenso dei condòmini. Il mezzo per esprimere questo consenso è, per l’appunto la delibera assembleare. Sarebbe lecita l’installazione di un impianto di videosorveglianza, una volta accertato il consenso dei condomini, anche senza la suddetta delibera?

Nel caso di specie, è quanto ritenuto dall’amministratore condominiale. Ma la risposta è decisamente no. È quanto se ne trae dall’ultimo provvedimento del Garante per la Privacy. Lo stesso ente è stato interpellato da dei condòmini che lamentavano come, il proprio amministratore di condominio, avesse fatto installare l’impianto di videosorveglianza in questione, senza una delibera assembleare. Scopriamo adesso maggiori dettagli sull’accaduto. Accaduto che ha condotto, in ultima istanza, alla pronuncia dello scorso 23 ottobre 2023, da parte del Garante (provvedimento n. 502/2023).

Videosorveglianza nei condomini: il caso di specie

Nel caso di specie, già accennato, i condòmini dell’edificio nel quale erano state installate le videocamere di sorveglianza, si erano rivolti al Garante per la Privacy, lamentando appunto l’atteggiamento del proprio amministratore di condominio. Il quale avrebbe autorizzato l’installazione, ma senza una precedente delibera dell’assemblea.

L’amministratore è stato poi ritenuto trasgressore, ma con la peculiarità non di essere riconosciuto Responsabile del trattamento, ex art. 28 GDPR (il testo del Regolamento generale sulla protezione dei dati, adottato in sede Ue). È stato riconosciuto con la qualifica di Titolare del trattamento proprio. La differenza risiede nel fatto che, il responsabile del trattamento, è solitamente un soggetto terzo. E comunque si tratta sempre di un soggetto che svolge il trattamento dei dati personali per conto del titolare del trattamento. Il titolare del trattamento detiene invece un’incombenza diretta nel trattamento dei dati. Tornando alla vicenda, il Garante della Privacy, in seguito alle segnalazioni pervenute, ha formulato e indirizzato una richiesta d’informazioni all’amministratore.

La delega al nucleo investigativo della GdF

La richiesta, pervenuta al medesimo a mezzo e-mail, non aveva però fatto seguito ad una risposta da parte del destinatario. Il seguito alla mancata risposta, il Garante delegava il Nucleo tutela privacy e frodi tecnologiche della Guardia di Finanza, per notificare direttamente all’amministratore l’avvio del procedimento sanzionatorio, oltre che per eseguire gli accertamenti del caso.

Nell’ambito dello stesso procedimento, veniva contestata all’amministratore di condominio la violazione dell’art. 157 del Codice della Privacy. In coerenza con la medesima disposizione, il Garante può richiedere, per l’espletamento delle proprie funzioni, al titolare del trattamento dati, di fornire informazioni e anche di esibire documenti.

Non solo vi è questo potere del garante nei confronti del titolare (che in questo caso è stato il destinatario del provvedimento), ma parimenti nei confronti del responsabile, del rappresentante del responsabile, o di quello del titolare, laddove presenti. L’atto notificato, confermava in aggiunta la domanda di ulteriori spiegazioni all’amministratore, come nella prima comunicazione inviata dal garante.

Le risultanze dell’ispezione

L’accertamento ispettivo del nucleo della Guardia di Finanza delegato dal Garante, aveva condotto a determinate risultanze. In primis, si accertava che nel condominio erano state installate due videocamere di sorveglianza, esternamente, e con angolo di visuale esteso fino all’area parcheggio e al cancello d’ingresso dell’area condominiale. Lo stesso angolo di visuale comprendeva, inoltre, una veduta parziale della pubblica via, attigua alla palazzina.

In base all’altra risultanza, il sistema di videosorveglianza era stato installato a novembre 2020. Il tutto senza una delibera assembleare, e con il solo avviso ai condòmini dell’installazione in oggetto, tramite e-mail ordinaria. Altro dato, emerso dagli accertamenti, era la possibilità d’accesso alle immagini registrate dalle telecamere, anche in tempo reale, da parte dell’amministratore. A quest’ultimo era sufficiente digitare un codice e relativa password, sul proprio smartphone, per fruire liberamente e in qualunque momento della trasmissione d’immagini.

I vizi d’informativa nei cartelli

Nella stessa area condominiale d’installazione, gli agenti della GdF, avevano riscontrato la presenza di cartelli, volti a segnalare l’informativa basata sull’art. 13 del GDPR. Nella suddetta informativa, l’amministratore rendeva noto come tutti i condòmini fossero consenzienti all’installazione delle videocamere. E rendeva nota la necessità di evitare la prosecuzione di continui danneggiamenti che si sarebbero verificati nell’area medesima. In virtù di ciò, sempre per la notifica in oggetto, l’adozione del sistema di videosorveglianza era stata attuata urgentemente, senza una delibera condominiale. Quest’ultima sarebbe stata, secondo il testo del comunicato, varata alla prima occasione utile.

Il provvedimento adottato e il quadro giuridico

Come si pone, il provvedimento adottato nel condominio, con il quadro giuridico di pertinenza? Certamente, l’amministratore, non aveva tenuto conto di come il sistema di videosorveglianza comportasse un trattamento dei dati personali. E, in quanto tale, avrebbe dovuto avvalersi del preventivo consenso. Sul piano giuridico, si tratta di un trattamento dei dati, per come disciplinato dall’art. 4 GDPR, paragrafo 1, n. 2, e da svolgere nel rispetto dei principi riportati all’art. 5 dello stesso testo normativo.

Da richiamare su tutti, a riguardo di quest’ultimo punto, il principio di liceità e trasparenza (par.1, lett. a della norma da ultimo citata), e quello di limitazione delle finalità (di cui al par. 2, lett. b, sempre dell’art. 5). Ancora a delineamento del quadro giuridico di riferimento, impossibile non citare le linee guida dettate da un organo quale il Comitato Europeo per la Protezione dei Dati. Parliamo, nello specifico, delle linee guida n. 3/2019, riguardanti appunto il trattamento dei dati personali tramite dispositivi video, entrate in vigore il 29 gennaio 2020.

La specificazione delle finalità del trattamento

Per procedere con un trattamento dei dati personali, attraverso un sistema di videosorveglianza, le linee guida apposite stabiliscono che, fra le altre cose, siano specificate dettagliatamente le finalità del trattamento. Finalità da riportare, chiaramente, in forma scritta e per ogni videocamera utilizzata (si suppone che ogni videocamera abbia dunque una finalità a sé, e anche qualora siano sempre le medesime finalità, bisogna comunque indicarle separatamente). Nel caso di specie, non sarebbe bastato approvare l’apposizione del sistema di videosorveglianza con un’approvazione scritta, cosa che già non era avvenuta. Ma la stessa avrebbe dovuto riportare in aggiunta il contenuto richiesto dalle linee guida varate in ambito comunitario.

L’informazione rivolta agli interessati

Sempre ai sensi delle linee guida approvate in sede comunitaria, gli interessati devono sempre essere preventivamente informati del fatto che stiano per accedere ad un’area video-sorvegliata. Avviso che deve contenere anche la finalità dello stesso trattamento. Il che vale tanto per i condòmini quanto per terze parti. Quest’obbligo, ex art. 13 del GDPR, era stato messo sì in atto da parte dell’amministratore, ma senza che vi fosse di base un trattamento dei dati valido per legge. Si tratta di una grave lacuna negli atti, rispetto al quadro giuridico. Meno che mai sarebbe stato possibile, in termini di legge, ricorrere ad una procedura “d’emergenza”. Procedura per la quale, a fronte di episodi di danni verificatisi, sarebbe consentito l’immediato ricorso al sistema di videosorveglianza, scavalcando discussione e approvazione nell’idonea sede dell’assemblea condominiale.

Le linee guida richiamano l’art. 13 GDPR, al par. 3, n. 15. Esse contemplano anche, che le informazioni sul trattamento dei dati maggiormente importanti siano indicate dal titolare (il responsabile del trattamento dei dati) sui medesimi avvisi posti a delimitazione dell’area videosorvegliata. Ciò si spiega, essendo le informazioni secondarie erogabili in altra sede. Ovvero, le informazioni secondarie si qualificano normativamente come “ulteriori dettagli obbligatori”, e in quanto tali “possono essere forniti con altri mezzi”. La relativa disposizione è contenuta nel par. 7, n. 111 delle linee guida.

Videosorveglianza nei condomini e requisiti della cartellonistica

Sempre stando alle linee guida, le informazioni da erogare tramite cartellonistica, possono essere accompagnate da icone, così da dare alle medesime informazioni la più elevata visibilità. Per esprimerci in termini di legge, “per dare, in modo ben visibile, intelligibile e chiaramente leggibile, un quadro d’insieme del trattamento previsto” (disposizione prevista dall’art. 12, par. 7 GDPR). La stessa disposizione prevede che il formato della cartellonistica adoperata non sia mai sacrificato, e che venga quindi adottato in relazione allo spazio e all’ubicazione assegnata, facendo sempre in modo che sia ben visibile. Si dovrebbe consentire ad ogni interessato, in altri termini, di avere sempre chiara la circostanza nella quale la videosorveglianza si svolge.

E ciò, sempre prima dell’ingresso nell’area videosorvegliata. La ratio normativa si rinviene nel conferire la possibilità, all’interessato, di decidere eventualmente di non effettuare affatto l’ingresso nell’area. O, diversamente, di “adeguare il proprio comportamento, ove necessario”, come previsto dal par. 7.1.1, n. 113 delle linee guida. Quanto all’ubicazione, si ritiene che, in altezza, l’avviso sia grossomodo all’altezza degli occhi, proprio affinché risulti visibile in ogni circostanza.

La liceità del trattamento, nell’ambito della videosorveglianza nei condomini

Abbiamo nominato, precedentemente, il principio di liceità del trattamento, il quale merita certamente una menzione a parte. Stando a quanto espresso dalle linee guida in materia, ogni fondamento di diritto risulta idoneo a fornire una base giuridica per il trattamento dei dati in questione, ossia quelli attinenti alla videosorveglianza. Ma resta da vedere quali siano le disposizioni che, di fatto, si prestino a fungere da base giuridica, cioè detengano effettivamente quell’idoneità ricercata.

Sulla base delle linee guida, ogni fondamento di diritto identificato ai sensi dell’art. 6, primo paragrafo, del GDPR, mostra l’idoneità. Specificamente, ci si può richiamare al fondamento di cui all’art. 6, par. 1, lett. f, ovvero quello attinente al legittimo interesse. O ancora, alla necessarietà del trattamento per l’espletamento di un compito d’interesse pubblico, di cui alla lett. e dello stesso paragrafo. Da richiamare anche la lett. c, la quale riporta la necessarietà del trattamento per l’adempimento dell’obbligo legale. Obbligo cui è soggetto il titolare del trattamento (l’amministratore condominiale, nel caso di specie).

In merito alla liceità del trattamento, e dunque delle riprese con videosorveglianza, la stessa videosorveglianza è ritenuta lecita dalle linee guida, nella misura in cui ha come fine il legittimo interesse perseguito da parte di un titolare del trattamento, oppure da un terzo (che vanti sempre un legittimo interesse). Al di là della misura espressa, ovvero nel momento in cui il trattamento sia invasivo di diritti, interessi, o libertà fondamentali dell’interessato, esso non è più lecito (art. 6, par. 1, lett. f).

Videosorveglianza nei condomini: la base giuridica del trattamento dati

In base al terzo paragrafo dell’art. 6 del GDPR, la base giuridica del trattamento è da rinvenirsi nel Diritto dell’Ue, o da quello vigente nello Stato membro a cui è soggetto il titolare del trattamento. A completare il quadro giuridico, infatti, subentra nel nostro caso anche una disposizione codicistica. Il riferimento è all’art. 1122-ter del Codice Civile, una disposizione specifica in materia di videosorveglianza. Disposizione introdotta nell’ordinamento con la riforma dell’ambito condominiale, attuata per mezzo della Legge n. 220/2012 (dell’11 dicembre 2012). La stessa dispone che le deliberazioni riguardanti l’installazione, su parti comuni del condominio, di impianti di videosorveglianza, debbano essere approvate dall’assemblea condominiale a maggioranza. E pone, su quest’ultimo punto, il riferimento alla maggioranza espressa dall’art. 113 c.c., secondo comma.

Il numero di voti a favore, per comporre la maggioranza richiesta, dovrà rappresentare la maggioranza dei condòmini intervenuti in assemblea, che siano proprietari complessivamente di almeno la metà del valore della sede condominiale. Non si tratta di una disposizione isolata, quella di cui all’art. 1122-ter c.c., in quanto la stessa si inquadra in un apparato normativo volto a rivendicare la valenza della delibera assembleare. Un altro riferimento è nell’art. 1130 c.c., comma 1, punto 1. Esso definisce, la delibera condominiale, come lo strumento in grado di conferire, all’amministratore, il potere di dare un’esecuzione alle decisioni assunte dai condomini. Si qualifica quindi come strumento, tale da permettere all’amministratore di attuare il mandato ricevuto.

L’amministratore è, di conseguenza, un mandatario, ed è tenuto a seguire in quanto tale ciò che il Codice Civile contempla per questa figura. E del resto vi è anche un rinvio espresso, direttamente alla disciplina giuridica della figura del mandatario, da parte dell’art. 1129, comma 15 c.c., disposizione codicistica rubricata con il titolo “Nomina, revoca e obblighi dell’amministratore”.

Le osservazioni del Garante sul quadro giuridico in materia di videosorveglianza nei condomini

Sul quadro giuridico esistente, in materia di videosorveglianza nei condomini, il Garante Privacy ha altresì effettuato delle osservazioni. La delibera assembleare è da intendersi, per questo caso concreto, presupposto necessario per l’attuazione del trattamento richiesto (la videosorveglianza).

È mediante tale atto, sempre stando all’osservazione del Garante, che i condomini medesimi concorrono alla definizione delle principali caratteristiche del trattamento. Con esse si intendono le modalità e le finalità del trattamento, la tempistica di conservazione delle immagini riprese, e, altro aspetto molto importante, l’individuazione del soggetto o dei soggetti abilitati alla visione delle immagini.

In base a quanto espresso dal Garante, non è solamente l’amministratore condominiale il titolare del trattamento, bensì l’intero condominio nel suo complesso. È quanto si trae anche dalla definizione di cui all’art. 4, par. 7, del GDPR. La definizione in questione è quella attinente alla figura del titolare del trattamento, identificato come persona fisica o giuridica, ma anche autorità pubblica o pubblico servizio. E in aggiunta, relativamente a quello che a noi interessa per quest’ambito, il titolare viene altresì identificato come organismo che definisce le finalità e i termini del trattamento relativo ai dati personali, singolarmente, o in concorso con altri. La definizione posta in essere, rispecchia perfettamente il nostro caso di specie, dato che la decisione sugli aspetti inerenti il trattamento dati vengono definiti, nel condominio, da un organo assembleare, e attuati sotto la responsabilità di un amministratore.

Videosorveglianza nei condomini: i risultati dell’istruttoria

Veniamo adesso a quelli che sono i risultati ai quali l’istruttoria ha condotto, con importanti riflessioni sull’intera materia della videosorveglianza nei condomini. Partiamo dal primo episodio, ossia la mancata risposta dell’amministratore all’interpellanza del Garante, intesa come semplice richiesta d’informazioni, alla quale comunque l’interessato era tenuto a rispondere.

Trattandosi di un invio sotto forma di e-mail ad un indirizzo ordinario, e non di posta certificata, manca la prova contraria, rispetto al fatto di come la medesima comunicazione non sia risultata pervenuta dall’amministratore. L’autorità garante ha pertanto disposto l’archiviazione del relativo procedimento, sulla base di quanto dispone l’art. 157 del GDPR.

Le modalità di trattamento dei dati personali, nel caso di specie

Altra questione è il trattamento dei dati personali, effettuato tramite sistema di videosorveglianza. In questo caso lo stesso Garante osserva che, dall’analisi della documentazione acquisita nel corso del procedimento, emerge come l’installazione di videocamere nell’area condominiale sia stata disposta direttamente dall’amministratore. Lo stesso amministratore aveva fatto ricorso ad un atto proprio, escludendo il presupposto riguardante la delibera assembleare ex art. 1122-ter c.c., non rilevando a tal fine il mero invito rivolto dall’amministratore ai condòmini in data 12 dicembre 2019. Nel medesimo invito, l’amministratore chiedeva ai condomini di produrre preventivi volti all’installazione di telecamere, idonee a tutelare lo spazio condominiale esterno.

Si era dunque discusso della faccenda, attinente ad una necessità di sicurezza maggiore per lo spazio esterno, e l’amministratore riteneva, per come si accennava in apertura, di aver comunque colto un consenso su tale necessità da parte dei condomini. Per contro, la risultanza formale era limitata a quell’invito, messo agli atti della seduta assembleare. Dopodiché, l’amministratore, aveva provveduto all’installazione con atto proprio, rimandando la seduta deliberativa a data da destinarsi (per come risultava dagli stessi avvisi rilasciati nell’area).

L’atto dell’amministratore al di fuori dell’incarico ricevuto

Il Garante ha riscontrato, in assenza del presupposto di legge, un atto dell’amministratore al di fuori dell’incarico dallo stesso ricevuto. Avevamo già riportato come l’amministratore condominiale si qualifichi, nella propria figura, in quanto mandatario. Il Garante, oltre a ciò, ha altresì riscontrato l’infrazione dell’art. 1130 c.c., il quale elenca i compiti spettanti all’amministratore del condominio. La disposizione codicistica da ultimo citata, prevede un’autonomia limitata per l’amministratore, consistente nella gestione ordinaria, nel disciplinare l’uso delle cose comuni, nel gestire la prestazione di servizi nel comune interesse. Mentre, sempre l’art. 1130, riporta come primo punto della propria elencazione (e quindi dei compiti propri dell’amministratore), l’esecuzione delle delibere assembleari.

Il Garante ha considerato anche come, dagli atti, risulti che lo stesso amministratore abbia fatto installare le telecamere, definendo oltretutto importanti aspetti, e in totale autonomia. Si parla di aspetti quali la definizione dell’angolo visuale per ognuna delle telecamere, e la dotazione di un’app sul proprio smartphone per visualizzare in ogni momento le immagini trasmesse. Un accesso, quest’ultimo, esclusivo, per il fatto di essere il solo amministratore in possesso di username e password per fruire del relativo servizio. Tutti fatti che concorrono, come il Garante per la Privacy fa notare, ad individuare l’effettivo titolare del trattamento dei dati personali, nella figura dell’amministratore, e non dell’intero condominio.

Una qualificazione di titolare del trattamento, che l’amministratore ha di fatto assunto, senza ricorrerne i presupposti giuridici. Al titolare così individuato, in quanto svolgente di fatto la funzione, sono da imputare le responsabilità che derivano da un’infrazione della disciplina in materia (protezione di dati personali). Nella fattispecie, rileva con quale modalità il trattamento dei dati sia stato perseguito. E, come il Garante rinviene, il trattamento è avvenuto senza il presupposto di cui all’art. 6 del GDPR.

Videosorveglianza nei condomini: l’assenza di liceità nel caso di specie

L’assenza di liceità è un aspetto che si riscontra, per come già fatto notare, nella vicenda. Ma, entrando più nel dettaglio, vi sono considerazioni che la stessa autorità garante ha espresso, nel testo del proprio provvedimento. In particolare, sull’istruttoria del Garante viene rilevato come l’amministratore, rispetto all’ambito della videosorveglianza nei condomini, si sia rivelato carente di un legittimo interesse, un interesse effettivo ed attuale, a giudicare la situazione in cui si inserisce il suo provvedimento.

Provvedimento che, anche su questo fronte, risulta privo del presupposto di diritto. Il riferimento è qui al legittimo interesse a tutelare la proprietà da furti o atti di vandalismo, interesse in capo al titolare legittimo del trattamento, ovverosia al condominio. Quest’ultimo avrebbe potuto assumere la decisione di ricorrere al sistema di videosorveglianza per via di una necessità riscontrata, in vista di rischi concreti di turbative esterne. Valutate le premesse suddette, si sarebbe potuto procedere in questo senso, tenendo conto di un fondamentale bilanciamento degli interessi.

Videosorveglianza nei condomini e bilanciamento degli interessi

Da un lato, l’interesse alla tutela dell’area condominiale, e dall’altro, l’interesse al rispetto di diritti, concernenti le libertà fondamentali degli interessati. Ovvero principalmente di coloro i quali avrebbero visto il provvedimento collocarsi nella propria sfera giuridica, vale a dire i condòmini. Come da riflessione, presentata dall’autorità garante, manca l’interesse legittimo, in quanto l’amministratore non viene identificato dalla legge in veste di soggetto titolare del trattamento dati.

E manca altresì una fonte di pericolo seria ed imminente, che avrebbe potuto concorrere a giustificare, seppure in parte, l’adozione di un provvedimento del genere (si sarebbe trattato, in ogni caso, di una giustificazione parziale, mancando sempre il presupposto primo, cioè il potere di mandato conferito all’amministratore).

Un’analoga considerazione si riscontra a proposito del bilanciamento degli interessi: del tutto assente, e non solo perché non era stato espressa alcuna decisione da parte dell’organo deliberante. Ma anche perché mancava, appunto, un pericolo grave dal quale tutelarsi a livello di condominio.

L’assenza di correttezza e trasparenza

Oltre alla questione di liceità, vi sono anche quelle connesse a correttezza e trasparenza, quali importanti principi da considerare ai fini della validità di un atto adottato. Ciò sulla base della previsione letterale di cui all’art. 5 GDPR, par. 1, lett. a.

In definitiva, le considerazioni presentate nel paragrafo precedente, sull’assenza di liceità, si ripercuotono direttamente anche sulle questioni di correttezza e trasparenza. Si era verificata mancanza di correttezza nei confronti di tutti i coinvolti dal provvedimento, tanto i condòmini quanto soggetti terzi.

Vale a dire, sull’ultimo punto, persone che avrebbero effettuato il proprio ingresso, per vari motivi, nella stessa area condominiale. E che sarebbero state riprese, senza venire a conoscenza di chi e quando avrebbe potuto vedere quelle registrazioni, o quelle trasmissioni di immagini in diretta. Tra l’altro, nel caso di specie, si arrivava a ricomprendere nell’angolazione visuale, anche un tratto stradale esterno.

Le considerazioni da ultimo riportate, sono anche suscettibili di far venir meno la trasparenza, oltre che la correttezza. Sotto il profilo della trasparenza, inoltre, appare molto dubbia e per niente chiarificatrice, la dicitura sui cartelli secondo la quale il provvedimento, già attuato, sarebbe stato solo in un successivo momento approvato tramite delibera dell’assemblea. Queste sono tutte considerazioni ulteriori, rispetto alla mancanza di legittimità ex art. 6 GDPR.

Videosorveglianza nei condomini, il provvedimento finale

Qual è stato dunque il provvedimento finale adottato dal Garante? Il trattamento dei dati personali al quale si era dato seguito è da ritenersi illecito, e come tale è stato identificato dall’autorità indipendente. Il Garante per la Privacy ha riscontrato un’illegittimità, nel proprio provvedimento d’ingiunzione, relativamente agli artt. 5 (par.1, lett. a) e 6 del GDPR.

Ha evidenziato, nella propria pronuncia, l’illegittimità in rapporto alla natura del provvedimento di adozione della videosorveglianza. Così come, ancora il Garante, ha evidenziato la gravità della violazione (una considerazione di quanto sia stata grave, in termini quantitativi) e la durata con la quale la medesima si sia protratta. Quanto riscontrato era da obiettare alla condotta dell’amministratore, inteso come il responsabile della violazione. E il Garante ha anche attribuito, alla condotta posta in essere, l’aggravante relativa ad una palese infrazione dell’art. 1122-ter c.c., nella parte dell’articolo che contempla le regole cui l’amministratore di un condominio dovrebbe attenersi. Da un lato, quindi, infrazione della normativa comunitaria, e dall’altro, di quella nazionale.

In definitiva, nel provvedimento d’ingiunzione, il Garante della Privacy ha decretato una sanzione pecuniaria per l’infrazione delle suddette norme, quantificandola nell’importo di euro 1.000. Oltre alla sanzione, commissionata alla persona dell’amministratore, l’autorità ha ovviamente fatto valere il divieto, alle presenti condizioni, di mantenere il sistema di videosorveglianza. Viene sempre fatta salva, comunque, la possibilità di disporne nuovamente l’installazione, al verificarsi dei requisiti richiesti dalla legge. In primis, la delibera dell’assemblea di condominio.

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