Inadempimento dell'obbligazione

L’inadempimento dell’obbligazione

Novembre 10, 2023
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Inadempimento dell'obbligazione
Inadempimento dell'obbligazione - IlGiornaleGiuridico.it

Giuridicamente, si parla di inadempimento dell’obbligazione quando una specifica prestazione non si adempie nelle modalità convenute e nel luogo stabilito o se non si esegue nel momento dovuto.

Concetto di inadempimento dell’obbligazione e impossibilità sopravvenuta

Si ha inadempimento dell’obbligazione in questi tre casi specifici e cioè quando il debitore:

  • esegue la prestazione in maniera inesatta;
  • non esegue la prestazione dovuta;
  • esegue la prestazione in maniera parziale.

Il mancato o inesatto adempimento può dipendere da una causa non imputabile al debitore per impossibilità sopravvenuta della prestazione. Ma ciò vale solo se l’impossibilità si manifesta in un momento successivo all’insorgenza dell’obbligazione. Specifichiamo altresì che l’evento che ha contribuito a rendere la prestazione impossibile da eseguire, non deve essere conseguenza di una negligenza del debitore né tantomeno frutto di un suo atto intenzionale.

È importante sottolineare che non tutte le obbligazioni possono estinguersi per impossibilità sopravvenuta. Sono sempre possibili le obbligazioni di non fare o negative, cioè quelle in cui la prestazione ha per oggetto un comportamento di astensione del debitore per il quale sorge l’obbligo di non eseguire determinate attività o svolgere specifici atti e le obbligazioni di dare, quelle in cui la prestazione consiste nella consegna ovvero in una attività materiale che consente al creditore di ottenere il possesso del bene.

L’impossibilità sopravvenuta, invece, può manifestarsi in relazione a obbligazioni di fare o a obbligazioni di dare una cosa specifica, causandone l’estinzione.

L’inadempimento rappresenta il momento patologico dell’obbligazione – e ciò lo differenzia dall’adempimento che attiene invece al momento fisiologico del rapporto obbligatorio – ed è in relazione ad esso che sorge per il creditore, l’esigenza di vedersi garantita la sua utilità o bene, pur attraverso il ricorso a mezzi coercitivi.

Inadempimento e impossibilità sopravvenuta
Inadempimento e impossibilità sopravvenuta – IlGiornaleGiuridico.it

Quanto conta invece l’imputabilità per la definizione della nozione di inadempimento dell’obbligazione? Ci sono due tesi a riguardo. La prima sostiene che l’inadempimento si possa definire tale solo quando è imputabile. In caso contrario, sarebbe più corretto parlare di inadempimento in senso tecnico ma non giuridicamente rilevante. Sarebbe in realtà una vera e propria contraddizione parlare di “inadempimento non imputabile” perché un inadempimento è tale se reca in sé la “indefettibile ragione della sua imputabilità”.

Una seconda tesi, invece, contesta la terminologia di suddetta parola. Posto che l’inadempimento è la scorretta o mancata esecuzione di una prestazione, poco rileva se sia imputabile o inimputabile perché sempre di inadempimento stiamo parlando. Secondo dunque questo pensiero, non ha importanza se il debitore non ha adempiuto la prestazione volontariamente, per caso fortuito o per causa di forza maggiore: si verifica sempre la fattispecie di inadempimento.

A ben vedere però, il carattere di imputabilità ha invece una rilevanza importante quando si parla di inadempimento dell’obbligazione. Per poter meglio comprendere questo concetto, dobbiamo analizzare due tesi, quella oggettiva e quella soggettiva, ma non prima di aver chiarito quali sono i presupposti dell’inadempimento.

Presupposti dell’inadempimento

Quando parliamo di inadempimento di un’obbligazione, è necessario fare una differenza tra requisiti e presupposti. Alla configurabilità dell’inadempimento concorrono questi requisiti:

  • esistenza di una obbligazione posta in essere;
  • esigibilità e attualità della prestazione;
  • rapporto di causalità tra il comportamento (omissivo o commissivo) posto in essere dal debitore e il difetto della prestazione che non si verifica;
  • mancata realizzazione della prestazione.

Tra i presupposti discussi, rientrano invece la costituzione in mora e la rimproverabilità del debitore (per colpa) che possiamo accorpare nella categoria definitiva di “elementi soggettivi”.

Breve parentesi per la messa in mora del debitore. Con questa espressione si fa riferimento ad un ritardo nell’adempimento dell’obbligazione. Essa si effettua o con una richiesta scritta da parte del creditore o mediante intimidazione. Questi sono gli effetti che la mora del debitore produce:

  • obbligo per il debitore di risarcire al creditore i danni sorti in capo a quest’ultimo a causa del ritardo;
  • rischio dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione in capo al debitore anche per causa a lui non imputabile.

È bene specificare che ci sono dei casi in cui non è necessaria la messa in mora del debitore perché essa si verifica automaticamente per il solo fatto del suo ritardo. A questo proposito, stabilisce l’articolo 1218 c.c. che ciò si verifica quando:

  • il debitore dichiara per iscritto la sua volontà di non adempiere a una obbligazione;
  • l’obbligazione deriva da un fatto illecito;
  • il termine fissato è scaduto e c’è l’obbligo di adempiere l’obbligazione al domicilio del creditore.

La messa in mora può riguardare però non solo il debitore ma anche il creditore. Questa ipotesi si verifica quando quest’ultimo rifiuta illegittimamente l’adempimento della controparte. Ecco che la legge interviene allora a tutelare il debitore. Questi gli effetti che si produrranno in capo al creditore:

  • risarcimento danni derivanti dalla sua mora;
  • perdita del diritto a frutti e interessi della cosa non percepiti dal debitore;
  • configurazione del rischio di sopravvenuta impossibilità della prestazione per cause non imputabili al debitore.

Inconciliabilità degli articoli 1176 e 1218 c.c.

È palese che, quando non si adempie un’obbligazione, bisogna valutare in quali casi il debitore si possa ritenere colpevole e obbligato a risarcire i danni sorti in capo al creditore. Da un punto di vista giuridico, sembra difficile trovare una disciplina specifica che intervenga in questa fattispecie precisa poiché c’è inconciliabilità tra due articoli del codice, il 1176 e il 1218 del codice civile.

L’articolo 1176 recita che:

“Nell’adempiere l’obbligazione, il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata”.

Come si può leggere, questa norma impone al debitore di comportarsi diligentemente. Ne consegue che questi sia inadempiente quando non mette in pratica succitata regola di comportamento.

Di contro, l’articolo 1218 stabilisce che:

“Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta, è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.

È chiaro che quanto si legge in questo secondo enunciato, contrasti con quanto espresso nell’articolo 1218 c.c.. La norma dell’appena citato articolo, pare porsi a sfavore del debitore. Perché? Ai sensi dell’articolo 1176 c.c., sembra che il debitore, se dimostra di aver tenuto un comportamento diligente, non possa considerarsi responsabile.

Inconciliabilità degli articoli 1176 e 1218 c.c.
Inconciliabilità degli articoli 1176 e 1218 c.c. – IlGiornaleGiuridico.it

Invece, leggendo con attenzione l’enunciato dell’articolo 1218 c.c. sembra di capire che il debitore deve provare due fatti per non considerarsi responsabile e cioè:

  1. il fatto non è a lui imputabile ma è un evento inevitabile e imprevedibile;
  2. provare il fatto specifico da cui è dipesa l’impossibilità della prestazione.

La norma prevista dall’articolo 1218 c.c. è chiaramente più sfavorevole al debitore perché una persona può al contempo essere inadempiente nonostante la diligenza. C’è dunque una regola oggettiva che prescinde da una valutazione soggettiva del comportamento posto in essere dal debitore.

In altri termini, leggendo i postulati dei due articoli, si deduce che il debitore deve sì comportarsi in maniera diligente ma al contempo impegnarsi anche nell’adempimento più che con la normale e ordinaria diligenza. Perché? Semplice: sarà sempre responsabile nei confronti del creditore salvo che l’inadempimento dell’obbligazione derivi da cause o fattori a lui non imputabili.

Alla luce di queste considerazioni, è necessario allora cercare di capire quando un debitore non è responsabile dell’inadempimento, quando deve provare la sola diligenza e quando invece dimostrare l’impossibilità sopravvenuta per cause a lui non imputabili. Occorre in altri termini, individuare i criteri che disciplinano colpe e responsabilità del debitore.

A questo riguardo, ci sono diverse teorie, quella oggettiva e quella soggettiva.  Anche se possono sembrare contrapposte, in realtà giungono alla stessa conclusione pur sostenendo tesi in apparenza diverse.

Teoria oggettiva

Esposizione della tesi

Iniziamo analizzando la tesi esposta dai sostenitori della cosiddetta teoria oggettiva che prende in considerazione i lavori preparatori del codice e i dati letterali della legge.

Come si può dedurre dal solo titolo, la teoria oggettiva parte dal presupposto che la responsabilità ha connotati esclusivamente oggettivi. Ne consegue dunque che, in caso di inadempimento:

  • il debitore, a prescindere dall’insorgenza della colpa, si considera responsabile per il solo fatto oggettivo dell’inadempimento;
  • solo in caso di impossibilità sopravvenuta per causa a lui non imputabile, si può ritenere libero da responsabilità.

In merito a questo secondo punto, è utile sottolineare che per i sostenitori di questa tesi, l’impossibilità deve essere assoluta e oggettiva. Questo significa che il debitore può considerarsi libero da responsabilità solo se prova che l’inadempimento è dipeso da un fatto inevitabile e imprevedibile, che prescinde dal comportamento da lui messo in essere.

Galgano, uno dei sostenitori di questa teoria, fa questo esempio.

Poniamo il caso che un importatore debba consegnare una partita di greggio ma questa perisce in un incendio. Secondo i postulati della teoria oggettiva, l’importatore non si libera dalle sue responsabilità dimostrando la sua diligenza (ex articolo 1176). Ma si libera provando che l’evento causa del danno non è un fatto a lui imputabile.

Tuttavia, non è detto che sia sempre possibile provare la non responsabilità per cause sopravvenute. Ecco dunque che i sostenitori della teoria oggettiva dichiarano che al soggetto in questione basterà dare prova di aver messo in atto tutti comportamenti diligenti per liberarsi da colpe e responsabilità.

In questa teoria, non si considerano i postulati dell’articolo 1176 c.c. che regola la fase dell’adempimento di un’obbligazione ma non quella dell’inadempimento. Più precisamente, questo articolo entra in gioco a obbligazione adempiuta, per valutare se l’adempimento sia esatto o meno.

Teoria oggettiva
Teoria oggettiva – IlGiornaleGiuridico.it

Un’altra tesi, sostiene invece che il succitato articolo 1176 c.c. assume importanza solo quando occorre verificare che la causa dell’inadempimento non sia imputabile al debitore, nell’ipotesi di impossibilità oggettiva e assoluta della prestazione.

Corollari della tesi e temperamenti relativi al principio di responsabilità oggettiva

I corollari della tesi si ricavano analizzando nel dettaglio l’inadempimento relativo alle singole tipologie di obbligazione. Più precisamente:

  • non sorge responsabilità per il debitore, in relazione alle obbligazioni di dare una cosa certa e determinata, nelle ipotesi di perimento o smarrimento della cosa o quando sorge un divieto da parte della P.A.;
  • l’impossibilità delle prestazioni può nascere dal divieto dell’autorità (factum principis) nelle obbligazioni generiche e pecuniarie;
  • nelle obbligazioni di fare infungibile acquista importanza anche l’impossibilità soggettiva: in questa ipotesi, è solo provando la diligenza che si ottiene la prova liberatoria.

Si può ben intendere che la teoria oggettiva si rivela molto severa nei confronti del debitore.

Esempio: un’artista deve esibirsi in concerto. A pochi minuti dall’inizio dell’esibizione arriva la notizia di un incidente che ha coinvolto il marito. L’artista disdice l’impegno e raggiunge il consorte: in questa ipotesi, se applichiamo la teoria oggettiva, l’artista è responsabile di inadempimento.

Ecco dunque che molti sostenitori di questa tesi hanno individuato dei temperamenti per mitigare le conseguenze piuttosto pesanti che sorgono in capo al debitore:

  • inesigibilità della prestazione: una prestazione si può considerare impossibile se ricorrono presupposti che richiedono uno sforzo superiore al normale;
  • una prestazione si può definire impossibile per causa non imputabile quando la prestazione potrebbe essere richiesta ma intervengono i principi di buona fede e correttezza che impongono al creditore di non esigere la prestazione.

Teoria soggettiva

Esposizione della tesi

Abbiamo analizzato la teoria oggettiva. Passiamo adesso a quella soggettiva che vede tra i suoi sostenitori Bianca, Messineo e Giorgianni. In cosa si distingue la teoria soggettiva da quella oggettiva? Semplice: la prima, tra i criteri utili a stabilire la responsabilità del debitore, adduce la colpa del soggetto. In questa ipotesi, nella fattispecie di inadempimento dell’obbligazione, sarà opportuno verificare se il soggetto ha agito diligentemente e secondo i dettami dell’articolo 1176 c.c..

La teoria soggettiva muove invece da questi presupposti:

  • si parla di impossibilità non imputabile al debitore, quando un fatto o un evento hanno reso impossibile l’adempimento, anche se il debitore ha agito con diligenza;
  • la norma contenuta nell’articolo 1218 c.c. disciplina, tra le varie ipotesi, anche quella in cui una prestazione possa diventare impossibile;
  • vale sempre il criterio di diligenza per valutare la responsabilità di un soggetto, quando la prestazione è ancora possibile.

Corollari e temperamenti relativi alla teoria soggettiva

Anche la teoria soggettiva ha previsto dei corollari analizzando sempre le ipotesi di inadempimento dell’obbligazione nelle singole tipologie di obbligazioni.

A questo proposito, Giorgianni ha specificato che l’articolo 1218 c.c., in relazione al dovere di adempiere compiendo uno sforzo superiore e che vada oltre la normale diligenza, si dovrebbe applicare solo in relazione alle obbligazioni di dare, restituire o trasferire una cosa certa e determinata o nelle ipotesi di obbligazioni pecuniarie. In tutte le altre prestazioni vale invece il dettame dell’articolo 1176 c.c. che prevede che, se il debitore prova la sua diligenza, non è responsabile.

Teoria soggettiva
Teoria soggettiva – IlGiornaleGiuridico.it

Altri autori come Rescigno e Bianca, sostengono invece che non è possibile fare delle distinzioni in quanto il criterio di diligenza vale in ogni ipotesi o fattispecie che si pone in essere. Ne consegue che per ogni obbligazione, a prescindere che si tratti di un’obbligazione di fare o dare, si applica il criterio della diligenza. Ovviamente, i sostenitori di questa tesi non escludono però che possano verificarsi delle ipotesi in cui il debitore deve fare uno sforzo superiore a quello della diligenza media ma non si può certamente parlare o stilare una casistica precisa.

Come la teoria oggettiva, anche quella soggettiva produce delle conseguenze che potrebbero apparire ingiuste o troppo severe nei confronti del debitore. Visintini fa questo esempio.

Poniamo il caso che cada in acqua, a 70 metri di profondità, un oggetto di valore. Incarico un nuotatore esperto, dietro pagamento di una somma, di procedere al recupero. Costui ci prova ma non ci riesce perché stare in apnea a lungo e in un punto così profondo può essere difficile.

Secondo un criterio soggettivo, il nuotatore non è dunque inadempiente.

Ipotizziamo di chiedere invece il recupero a un campione di apnea. Anche costui ci prova ma senza successo. Se applichiamo lo stesso criterio soggettivo, allora è logico dire che il campione di apnea è inadempiente perché in passato ha resistito in apnea anche in punti molto più profondi di 70 metri. Tuttavia, le sue doti o la sua professionalità, non legittimano il creditore a pretendere dal campione uno sforzo spropositato.

Che cosa ricaviamo da questo esempio? Che il principio soggettivo ammette anche delle eccezioni: opera in talune situazioni, il cosiddetto “metro oggettivo” in relazione alla valutazione di una colpa. In questo caso, la diligenza si valuta in astratto e non in concreto, in correlazione al grado di diligenza media.

In riferimento invece all’impossibilità che è causa di estinzione di un’obbligazione, anche i sostenitori della teoria soggettiva ammettono che possono esistere obbligazioni per le quali l’impossibilità non può che essere assoluta e oggettiva.

Obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato: la teoria di Betti e Trimarchi

Betti distingue tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato. Nelle prime rileva l’articolo 1176 c.c. e in ragione di ciò, un debitore si considera inadempiente se non ha tenuto un comportamento diligente. Nelle seconde rileva invece l’esposto dell’articolo 1218 c.c., soprattutto nel punto in cui il debitore si considera sempre responsabile dell’inadempimento salvo che non dimostri che lo stesso sia dipeso da un fatto o evento inevitabile e/o imprevedibile.

Secondo invece Trimarchi, non si può stabilire a priori un criterio oggettivo o soggettivo di responsabilità. Posto che il codice ci dice che se il debitore non prova che l’inadempimento si deve a una causa non imputabile, è responsabile, non si può essere troppo fiscali sul concetto di impossibilità della prestazione ma bisogna sempre valutare il singolo caso che si verifica.

Lo stesso legislatore ha più volte dimostrato di non condividere una visione esclusivamente oggettiva o soggettiva della responsabilità. Certe volte, il criterio giusto da adottare è quello soggettivo, per esempio nelle obbligazioni di dare una cosa certa e determinata o nelle obbligazioni di custodire. Talaltre invece, il criterio giusto da applicare è quello oggettivo, per esempio nelle obbligazioni di dare una somma di denaro o una cosa di genere.

A parere di Trimarchi, c’è però un settore in cui non si discute il prevalere della responsabilità oggettiva: quello relativo alla responsabilità di impresa. Se il soggetto inadempiente è un’impresa, la responsabilità prescinderà sempre e comunque dalla colpa.

L’impresario o imprenditore sarà responsabile non solo per gli inadempimenti imputabili alla sua impresa ma anche per quelli degli ausiliari o collaboratori esterni che partecipano alla fase preparatoria della prestazione. Anche la giurisprudenza condivide questa tesi, analizzando i concetti di impossibilità e colpa in relazione alla responsabilità.

Ma perché un’impresa è sempre responsabile oggettivamente? La risposta dipende da ragioni di ordine economico. Non dimentichiamo inoltre che la minaccia di responsabilità oggettiva è motivo per il debitore di adottare misure cautelari o preventive contro i danni, soprattutto se il risarcimento economico è a suo svantaggio. In relazione invece alla responsabilità contrattuale, l’applicazione del criterio di responsabilità oggettiva ha ancora più senso in quanto:

“Solo la responsabilità oggettiva consente di trasferire sull’impresa che ha mal funzionato, il peso dell’intero danno che ne è seguito, anche se non si sia verificato presso la controparte.

Altre teorie e conclusioni riguardo l’inadempimento dell’obbligazione

Abbiamo esposto alcune delle teorie più condivise e seguite, anche dalla giurisprudenza. Dalla loro analisi, risulta chiaro che per quanto le tesi e i corollari possano essere diversi, i risultati a cui si giunge sono pressoché simili, se non addirittura coincidenti sotto diversi punti di vista. A prescindere dalla teoria soggettiva od oggettiva, tutti, autori e sentenze, procedono seguendo questi passaggi:

  • individuazione della fattispecie;
  • elaborazione della soluzione;
  • applicazione delle norme del codice secondo un criterio soggettivo od oggettivo.

Se consideriamo poi la possibilità di chiamare in causa anche criteri diversi come quello della buona fede, dell’inesigibilità, della diligenza media et similia, è chiaro che non si può parlare di una applicazione rigorosa dell’uno o dell’altro criterio, oggettivo o soggettivo che sia.

Ciò che dice Trimarchi è indubbiamente corretto. Rifacendosi all’articolo 1218 del codice civile, sostiene che un debitore è responsabile se non riesce a dimostrare che l’impossibilità sopravvenuta non è a lui imputabile. Ma, specifica l’autore, non è sempre detto che un soggetto sia responsabile a prescindere: bisogna valutare casi e situazioni con una certa flessibilità non solo giuridica ma anche mentale.

Non solo Trimarchi ma anche altri colleghi, sostengono che al problema della responsabilità non si può trovare una soluzione basandosi solo sull’applicazione delle varie teorie. La cosa più giusta da fare è procedere invece con un’analisi delle decisioni giurisprudenziali, ricavando dalle medesime una soluzione. In altri termini, la soluzione non la definisce una teoria, ma essa può variare a seconda del caso che si pone in essere.

Cosa deduciamo da queste considerazioni? Che non c’è un criterio giusto, oggettivo o soggettivo, per valutare la responsabilità del debitore. Bisognerà piuttosto tenere sempre presente i postulati degli articoli 1218 e 1176 c.c.

Non è nemmeno corretto dire che esista una incompatibilità tra le norme di questi succitati articoli, come molti credono né che opposti siano i loro postulati: semplicemente il loro contenuto si legge, si interpreta e si applica al caso concreto senza una determinazione a priori.

Compito del giudice è valutare la fattispecie precisa senza dimenticare tutti i principi dell’ordinamento, soprattutto quelli costituzionali. In base al caso concreto, farà una valutazione e deciderà, mai a priori, i criteri da seguire o adottare: sta anche in questo comportamento, l’imparzialità del giudizio.

Teorie su inadempimento obbligazione
Teorie su inadempimento obbligazione – IlGiornaleGiuridico.it

Rappresenta senza dubbio un caso complesso quello dell’inadempimento dell’obbligazione e delle responsabilità che sorgono in capo al debitore. Non possiamo non menzionare in questo contesto il pensiero dei 4 principali esponenti delle due teorie di cui sopra abbiamo approfonditamente parlato.

Per Giorgianni e Bianca, sostenitori della teoria soggettiva, vale questa equazione giuridica: mancanza di responsabilità=mancanza di colpa. Il che sta a significare che il debitore che si comporta con diligenza non ha alcuna responsabilità nei confronti del creditore.

Per Galgano e Visintini, sostenitori della teoria oggettiva, non si può considerare responsabile il debitore che dimostri:

  • il fatto o evento specifico che ha provocato l’inadempimento;
  • che il fatto sia dipeso da un evento imprevedibile o straordinario, a lui non imputabile.

Da questi due punti, deduciamo che il debitore può anche provare la sua diligenza ma non necessariamente dimostrare quale evento o fatto specifico ha causato la sua presunta responsabilità. In altre parole non è detto che possa provare la sua inimputabilità. Quindi, in questo caso è responsabile oppure no? La risposta è affermativa. Perché? Perché il debitore deve tenere un comportamento superiore alla diligenza media.

Un’altra parte della dottrina, quella che include il pensiero di Perlingieri e Breccia per esempio, sostiene che il criterio da adottare è soggettivo ma non in sensu letterale: esso risulterà dall’applicazione del combinato disposto delle due norme, considerando il caso in questione, i principi e i valori previsti dal nostro ordinamento.

A sostegno di quanto affermato, interviene anche la giurisprudenza con alcune sentenze. O per meglio dire, “non interviene” ma chiarisce coi dettami. Le corti valutano sempre un caso concreto e si regolano di conseguenza con l’applicazione delle norme, senza prendere a priori o a posteriori, una presa di posizione inequivocabile. Ci sono alcune sentenze della Cassazione come la n. 6692/2011 e la n. 12477/2002, che seguono un criterio soggettivo, altre, come la n. 1939/2003, che adottano il criterio oggettivo.

C’è in realtà una vera e propria lacuna codicistica messa in evidenza dalle tesi degli autori che abbiamo menzionato. Per ovviare a questo problema, altri autori hanno individuato delle ipotesi che permettono di parlare sicuramente di una imputabilità dell’inadempimento in capo al debitore:

  • forza maggiore o caso fortuito: eventi imprevedibili che non possono pesare sul debitore;
  • factum principis: provvedimento dell’autorità che ostacola la prestazione dedotta nell’obbligazione, causando una impossibilità giuridica della stessa;
  • inettitudine sopravvenuta del debitore: il debitore, non per causa predeterminata, non può adempiere più l’obbligazione;
  • stato di necessità: si verificano delle circostanze che costringono il debitore a non eseguire la prestazione dedotta nell’obbligazione. Alcuni si appellano però all’articolo 2045 c.c. parlando di stato di necessità solo nel contesto di responsabilità aquiliana;
  • errore del debitore: errore scusabile derivante da una determinata situazione ignorata dal debitore e relativa all’adempimento dell’obbligazione;
  • fatto del creditore: il creditore ha l’onere di collaborare con il debitore per l’adempimento della prestazione;
  • fatto del terzo: un terzo soggetto, estraneo all’obbligazione, impedisce al debitore di eseguire la prestazione dedotta nell’obbligazione.
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Inadempimento e onere della prova

Su questo punto si manifestava un contrasto giurisprudenziale di non poco conto. Una parte della giurisprudenza, quella maggioritaria, riteneva che fosse compito del creditore provare l’inadempimento dell’obbligazione. Al contrario, la parte minoritaria, riteneva che spettava al debitore dimostrare l’adempimento.

Per i sostenitori della prima tesi, l’onere della prova in capo al creditore muta a seconda della azione proposta. Per esempio, se questi agiva per l’esecuzione del contratto, suo compito consisteva nel provare solo il contratto, vale a dire, la fonte del rapporto.

Diverso il discorso nel caso della risoluzione in cui contratto e inadempimento rappresentavano il fatto da provare.

Questa teoria riceve critiche per 3 ragioni. La prima: così facendo, si genera una disparità di trattamento tra i rimedi che la legge definisce come alternativi. La seconda: si costituisce la probatio diabolica nel caso della risoluzione poiché spetta al creditore provare l’inadempimento dell’obbligazione. La terza: l’azione di adempimento è essa stessa un rimedio contro l’inadempimento.

Opposta la teoria della fazione minoritaria che parte da questo presupposto: il creditore ha il compito esclusivo di provare solo la fonte del rapporto, in quanto fatto costitutivo del diritto di credito. Ma ci sono anche in questo caso dei dubbi.

Il primo riguarda il principio di riferibilità della prova che prevede che l’onere della prova di un fatto è a carico del soggetto a cui il fatto si riferisce. Nel nostro caso, l’inadempimento dell’obbligazione si riferisce al debitore e spetta solo e soltanto a lui dimostrare di non essere inadempiente.

Altra perplessità riguarda il principio di persistenza del diritto che prevede che, qualsiasi diritto si considera esistente fino a prova contraria. Ne consegue una presunzione di inadempimento dell’obbligazione che può risolvere solo il debitore provando la sua non responsabilità.

Infine, da non sottovalutare, è la prova del fatto negativo: spetta al debitore provare il fatto positivo e cioè l’adempimento. Le SS.UU.Civili con la sentenza n. 13533/2001 intervengono sulla questione.

Le stesse hanno appoggiato il pensiero della fazione minoritaria: il creditore che vuole agire in giudizio a tutela della propria pretesa, deve allegare l’inadempimento dell’obbligazione e dare prova del titolo. Al debitore spetta invece il compito di provare la risoluzione della fattispecie.

Rimedi contro l’inadempimento dell’obbligazione

Arriviamo infine a trattare questo punto: come si rimedia all’inadempimento dell’obbligazione? Partiamo dal presupposto che esistono degli strumenti a tutela del diritto di credito. Fondamentale la distinzione tra rimedi settoriali e rimedi generali.

I rimedi settoriali tutelano tutte quelle posizioni creditorie che dipendono da una fonte di obbligazioni. Pensiamo ai mezzi di tutela specifici afferenti l’ambito contrattuale, più precisamente la materia dei contratti sinallagmatici, quali la risoluzione del contratto.

I secondi, tutelano ogni posizione creditoria prescindendo dalle fonti di obbligazioni che una posizione creditoria la generano. In questa categoria rientrano, per esempio, l’azione di adempimento e il risarcimento del danno.

Ancora, suddetti rimedi possono essere giudiziali o stragiudiziali se richiedono l’intervento di un giudice oppure no. È giusto specificare che la maggioranza dei rimedi stragiudiziali sono eccezionali poiché configurano l’autotutela privata. Discorso d’eccezione per la clausola penale che rappresenta una liquidazione preventiva del danno da inadempimento e non una fattispecie di autotutela del credito.

Non dimentichiamo la ulteriore suddivisione tra rimedi obiettivi e sanzionatori. I primi presuppongono la violazione dell’obbligo, i secondi invece, la colpa del debitore.

Riassumendo, quali sono i rimedi contro l’inadempimento? Questi qua:

  • risarcimento del danno;
  • clausola penale
  • rimedi contrattuali;
  • esecuzione forzata;
  • provvedimenti d’urgenza;
  • diritto alla sostituzione della prestazione;
  • azione di adempimento.

Breve parentesi su questi ultimi 3 punti che meritano la nostra attenzione. Partiamo dall’azione di adempimento che, come dice l’espressione, è un’azione che ha un obiettivo preciso: la condanna del debitore ad eseguire la prestazione dedotta nell’obbligazione. È chiaramente un’azione di condanna che presenta questi presupposti:

  • mancata esecuzione della prestazione;
  • fungibilità della prestazione.

L’articolo 1453 comma 2, nei contratti a prestazioni corrispettive, pone l’azione di adempimento in un rapporto di alternatività con quella di risoluzione e la ragione è piuttosto semplice: mentre la seconda estingue il contratto, la prima presuppone il mantenimento in vita dello stesso.

Attenzione a non confondere l’azione di adempimento con il risarcimento specifico: quest’ultima vuole ottenere un surrogato a favore della perdita del creditore. La prima vuole conseguire la prestazione dedotta nell’obbligazione.

Con riferimento al diritto alla sostituzione della prestazione, specifichiamo invece che si tratta di un rimedio che riguarda la vendita dei beni di consumo. Infine, in relazione ai provvedimenti d’urgenza, ex articolo 700 c.p.c. sono strumenti cautelari che si costituiscono senza la necessità di instaurare un processo di merito.

Ecco cosa recita il suddetto articolo:

“Fuori dei casi regolati nelle precedenti sezioni di questo capo, chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti d’urgenza, che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito”.

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Danno emergente, lucro cessante e liquidazione del danno: responsabilità del debitore

Vale la pena approfondire anche queste tre fattispecie che delineano le responsabilità del debitore cui abbiamo accennato poco più sopra. Iniziamo menzionando l’articolo 1223 del codice civile che prevede che il risarcimento del danno per l’inadempimento o il ritardo deve includere sia il cosiddetto “danno emergente”, ovvero la perdita subita, sia il cosiddetto “lucro cessante” vale a dire il mancato guadagno. Questi elementi sono conseguenza diretta e immediata dell’inadempimento.

Esiste dunque un rapporto di causa ed effetto, per meglio dire un nesso causale, tra inadempimento e danno. Attenzione però. Non è detto che la colpa sia sempre e solo del debitore. Il danno, talvolta, può dipendere anche da un comportamento doloso messo in essere dal creditore: si parla in questo caso di “concorsi di colpa del creditore”.

Cosa succede quando si accerta la colpa del soggetto e si quantifica l’entità del danno? Si procede con la liquidazione dello stesso. Si ritiene palese compito del creditore dimostrare l’entità del danno ricevuto o subito. Se non si riesce ad avere una stima precisa dello stesso, si interpella allora un giudice che, analizzata la vicenda e sentite le parti, liquiderà il danno secondo il principio di equità.

Responsabilità del debitore
Responsabilità del debitore – IlGiornaleGiuridico.it

Poniamo però il caso che il debitore decida di non voler risarcire il danno provocato al creditore. Cosa succede in questa ipotesi? Anzitutto, il creditore può agire nei confronti del debitore insolvente e a tutela dunque del suo interesse, solo se munito di uno specifico documento che promuove l’esecuzione forzata ai danni del debitore. In altre parole il creditore deve avere un titolo esecutivo. La sentenza, per esempio, è un titolo esecutivo ma anche la cambiale, purché sia regolare.

Se munito di titolo esecutivo, il creditore ha un ventaglio di vantaggi. Innanzitutto, può chiedere e procedere con la vendita all’asta dei beni del debitore, ricavando dalla vendita dei beni della controparte, la somma sufficiente a riparare i danni subiti. In secondo luogo, il creditore può pretendere l’esecuzione del suo diritto in forma specifica, attraverso per esempio, la consegna del bene.

Si colloca in questo quadro, un altro punto importante: la responsabilità patrimoniale del debitore. Stiamo parlando di un istituto che va a tutelare il creditore, il quale pretende e a buona ragione, l’adempimento dell’obbligazione. A questo proposito, l’articolo 2740 del codice civile sancisce che il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge.

Da questo enunciato desumiamo che il patrimonio del debitore, nella fattispecie di inadempimento della prestazione, diventa garanzia generica. Pertanto è palese che il creditore, nell’ipotesi di inadempimento dell’obbligazione, potrà legittimamente soddisfarsi sui beni di proprietà del debitore. In che modo? Attraverso un procedimento di esecuzione forzata.

Non dimentichiamo però che il patrimonio, giuridicamente, è un’entità variabile e pertanto il creditore potrebbe non trarre alcun vantaggio. Ecco però che la legge interviene a tutela del creditore con alcuni mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale generica. Eccoli:

  • azione revocatoria;
  • azione surrogatoria.

Con la prima, l’azione revocatoria, il creditore chiede al giudice di dichiarare inefficaci eventuali atti dispositivi messi in essere dal debitore e dai quali possa derivare un pregiudizio per il creditore e i suoi interessi.

La seconda, ovvero l’azione surrogatoria, permette al creditore di “surrogarsi” al debitore e permettere la convocazione in giudizio, per esempio, di terzi soggetti come altri debitori dell’inadempiente. Cosa succede se in debitore ha più creditori? Recita l’articolo 2741 del codice civile:

“I creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione. Sono cause legittime di prelazione i privilegi, il pegno e le ipoteche”.

Questi ultimi tre altro non sono che istituti volti a tutelare i creditori consentendo loro di rivalersi su determinati beni o sul patrimonio del debitore, con una preferenza rispetto ad altri creditori.

Da qui deriva l’espressione di “privilegiati”. Quei creditori che invece non possono godere di questi privilegi, dovendosi accontentare della garanzia patrimoniale generica, si definiscono “chirografari”.

Pegni, ipoteche, privilegi speciali rientrano nella categoria di diritti reali di garanzia. Mentre il pegno riguarda un bene mobile del debitore o di un terzo, l’ipoteca si distingue perché per oggetto ha un bene immobile o un bene mobile registrato del debitore.

L’ipoteca si ritiene legittimamente costituita se iscritta nei pubblici registri. Necessario anche il titolo in base al quale si può parlare di ipoteca volontaria, ipoteca legale o ipoteca giudiziale. La prima è tale se costituita tramite contratto. La seconda è tale se la legge dà al creditore la possibilità di iscrivere l’ipoteca su un certo bene. Si dice invece giudiziale quando il creditore, con sentenza del giudice, ottiene la possibilità di agire sui beni del debitore.

In cosa sono simili pegno ed ipoteca? Questi istituti:

  1. riguardano beni determinati;
  2. sono diritti reali;
  3. attribuiscono diritto di prelazione.

I privilegi invece possono essere generali e consentire dunque al creditore di soddisfarsi su tutti i beni del debitore. Oppure, suddetti privilegi possono definirsi anche speciali ma in un caso specifico. Quale? Quando tale diritto vale sono nei confronti di determinati beni del debitore, nei confronti del quale un creditore è “il preferito rispetto ad altri”. Fonte dei privilegi è sempre e solo la legge.

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