Annullabilità del contratto per truffa, il nuovo caso

Dicembre 22, 2024
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L'annullabilità del contratto per truffa

Quando si ha l’annullabilità del contratto per truffa, e non la nullità del medesimo? Si è riscontrato, da ultimo, che l’atto negoziale concluso per effetto di truffa (che sia penalmente accertata), da parte di un contraente ai danni dell’altro, non è nullo bensì annullabile. La ratio sarebbe da rinvenirsi nel fatto che, lo stesso dolo alla base della truffa, non sarebbe diverso né per natura né per intensità, da quello che connota il consenso negoziale. Ambedue i vizi attengono a raggiri, messi in uso dall’agente onde indurre l’altra parte in errore, così da ottenerne appunto un consenso viziato.

Inerentemente la vendita, la parte attiva che riceve l’oggetto dall’avente diritto per dare luogo al negozio, anche se viziato, diviene effettivo proprietario della cosa trasmessa. A ciò si annette il potere di trasferire il dominio della cosa ad una terza parte. Se quindi il terzo soggetto acquista, a titolo oneroso e in buona fede, sul medesimo soggetto non può gravare azione d’annullamento messa in atto dal deceptus, fermi restando i limiti contemplati dall’art.1445 C.c.

È quanto in definitiva ha sancito la giurisprudenza di legittimità, con la pronuncia della Corte d’Appello di Milano. Nel concreto, è stato respinto il ricorso avanzato dai primi proprietari di un’autovettura, i quali erano stati truffati da un terzo al quale avevano ceduto l’auto, e oggetto di contestazione era appunto la legittimità della vendita a sua volta portata a termine dal terzo.

Stando alla Corte, dato che l’azione d’annullamento del primo contratto non era stata proposta nei termini previsti, veniva reso pienamente valido il trasferimento successivo del bene. Il venditore, al momento del secondo negozio, risultava a tutti gli effetti proprietario della vettura.

L’annullabilità del contratto nel caso riscontrato

Ritornando e approfondendo il caso, due persone avevano venduto l’automobile di loro proprietà ad una terza persona. Quest’ultima aveva pagato il bene con un assegno circolare, soltanto in seguito rivelatosi falso. I due venditori avevano denunciato dunque il loro acquirente per truffa, ma, nel frattempo, l’acquirente aveva già rivenduto a propria volta il bene ad una concessionaria d’auto usate, per un prezzo decisamente più basso.

Ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c. (rito sommario di cognizione), i primi venditori del veicolo portavano in giudizio il nuovo titolare del bene, nonché titolare della concessionaria d’auto usate. I motivi sono da rinvenire nel fatto che, proprio il proprietario della concessionaria, avrebbe dovuto essere a conoscenza della provenienza illecita della vettura, per causa di due fattori: da una parte, il fatto che egli stesso sia un operatore qualificato del settore, e dall’altra per l’elevata differenza fra il prezzo pagato dal terzo e quello a cui, subito dopo, aveva rivenduto lo stesso bene. Il prezzo della prima transazione risultava infatti nella visura Aci, e un operatore qualificato del settore avrebbe dovuto prenderne visione, oltre a detenere già una cognizione del reale valore della macchina.

La richiesta in giudizio, da parte dei venditori originari, era quella d’esser dichiarati unici proprietari dell’auto, con la richiesta di condanna, per il convenuto, a pagare le spese di custodia del bene, poiché frattanto sottoposto a provvedimento di sequestro penale. A quanto richiesto al primo punto si sommava un risarcimento danni dovuto a perdita di valore e mancato impiego del mezzo a partire dal suo sequestro.

Riguardo la posizione del concessionario, egli si costituiva in giudizio dichiarandosi proprietario legittimo del mezzo, acquistato legittimamente da un terzo che ne risultava a tutti gli effetti il proprietario, stando alle annotazioni di cui al Pubblico Registro Automobilistico. Il prezzo pagato era inoltre conforme a quanto stabilito dai listini dell’usato.

La pronuncia di primo grado per annullabilità del contratto e il ricorso in appello

Il Tribunale di Monza, chiamato a decidere sulla controversia, ha ritenuto il diritto di proprietà sull’auto, del concessionario, come derivante da un trasferimento pienamente valido, ma non solo. Stessa definizione la Corte aveva dato per il primo trasferimento, quello dagli attori al primo acquirente, il terzo autore della frode.

Gli attori in giudizio ricorrevano allora in appello, dando in causa una violazione dell’art.1153 C.c., per acquisto invalido del diritto di proprietà dell’auto dalla parte del convenuto (il concessionario), per via della malafede mostrata dal terzo all’atto del primo acquisto.

I medesimi attori, in occasione dell’appello, facevano presente come il Tribunale di Monza non avesse considerato un fatto degno di nota: al momento in cui il veicolo veniva rivenduto, esso era già formalmente sottoposto a sequestro per effetto della denuncia per truffa sporta dagli appellati. A detta degli appellanti, non era stata posta neppure attenzione, nel primo grado di giudizio, alla differenza tra il certificato prezzo d’acquisto e quello di vendita.

La pronuncia della Corte d’Appello sul caso

La Corte d’Appello competente territorialmente si pronunciava per un gravame, riscontrato dagli appellanti, infondato. I magistrati della Corte osservavano anzitutto la mancata contestazione, dalla parte degli appellanti e nei termini opportuni, relativa alla validità del primo contratto di vendita (quello per il quale si era verificata la frode). La contestazione, sebbene vi fosse stata, era avvenuta fuori dai termini, e il terzo, al momento della rivendita del bene, lo aveva appunto rivenduto come proprietario legittimo.

Quindi, la Corte d’Appello, riconosceva comunque il vizio in capo alla prima transazione di vendita, ma definiva il contratto attinente, non come nullo (il che avrebbe fatto accogliere le istanze degli appellanti in giudizio), ma come annullabile. In ciò richiamandosi all’art.1439 C.c., contemplativo del dolo quale causa d’annullamento del contratto (e non di nullità del medesimo).

L’annullabilità contrattuale, in casi ricadenti sotto tale fattispecie (truffa operata da un contraente ai danni dell’altro), è un principio già conclamato, peraltro, dalla giurisprudenza di legittimità, di cui alla Sentenza della Cassazione n.18930 del 27 settembre 2016, anch’essa richiamata dalla Corte d’Appello.

La Corte d’Appello e i principi astrattamente applicabili

I giudici si sono pronunciati, oltretutto, sull’invocato l’art.1153 C.c., affermante il principio “possesso vale titolo“. La disposizione non trova attuazione per un divieto esplicito dell’art.1156 C.c., che ne esclude l’ambito d’applicabilità per universalità di beni mobili e beni mobili iscritti in pubblici registri (come, nell’ultimo punto, il caso di specie). Come gli stessi giudici hanno fatto valere nel giudizio, avrebbe semmai potuto operare l’art.1162 C.c., ma per via astratta, siccome essa riguarda l’usucapione di beni mobili iscritti in pubblici registri. L’acquisto per usucapione non è l’acquisto effettuato presso il proprietario, ecco perché l’astrattezza nell’applicabilità del principio.

Ma, quanto l’art.1162 dispone, rende ad ogni modo irrilevante la verifica se, la parte convenuta in appello, fosse stata in buona fede al momento dell’acquisto oppure no. La Corte prosegue nel chiarimento, e chiarisce all’uopo che gli appellanti avrebbero potuto fruire della tutela desiderata qualora avessero chiamato in causa il primo acquirente, e domandando in giudizio che il relativo contratto venisse annullato per dolo. Nel medesimo giudizio, avrebbe dovuto esser chiamato in causa, in via contestuale, anche il concessionario del secondo acquisto, e provare la sua malafede all’atto dell’acquisto, di modo da opporgli l’annullamento contrattuale sulla base dell’art.1445 C.c., con effetto la restituzione del veicolo.

L’emissione della sentenza sull’annullabilità del contratto per frode: i requisiti giuridici

La Corte, infine, conclude la sentenza sull’annullabilità del contratto viziato da dolo con una specifica affermazione. Quella secondo cui, con inerenza alla vendita, il soggetto attivo che riceve il bene con il consenso dell’avente diritto, seppur lo stesso consenso sia viziato dal dolo, ne diviene l’effettivo proprietario. Consegue a ciò il potere di trasferire il dominio sul bene a terze parti che, a loro volta, acquistano l’oggetto a titolo oneroso, e, s’intende, in buona fede. Il tutto esclusi gli effetti d’annullamento opposto dal “deceptus“, ovverosia il soggetto passivo del dolo, in relazione alla previsione propria dell’art.1445 C.c. Questo stabilisce che occorre la trascrizione della domanda d’annullamento. Diversamente, l’annullamento non dipendente da incapacità legale non pregiudica i diritti acquisiti a titolo oneroso dai terzi di buona fede (qui, il concessionario).

In merito alla presenza della buona fede, la stessa dipende da un apprezzamento di fatto, che si sottrae al sindacato di legittimità se ve ne sono le condizioni. La Corte d’Appello ha così optato per il rigetto del ricorso presentato, in piena conferma della sentenza del Tribunale di Monza. Ne è conseguita altresì la condanna agli appellanti a rifondere all’appellato le spese giudiziali, e al pagamento di un ulteriore importo come contributo unificato.

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